Intervista apparsa sul sito MUSICA BLACK

(www.musicablack.com) nel 2006

 

1)    I Black Cat Bone sono sicuramente tra le più note e longeve blues band italiane. Puoi brevemente raccontare la vostra lunga carriera a coloro che ancora non vi conoscono?

La band e’ stata fondata la prima volta a Trani in provincia di Bari nel lontano 1982, da me e da un mio amico hitarrista  Vincenzo “Bob Rock” Palumbo col nome di Black Cat Bones.

Il gruppo allora si esibiva essenzialmente in Puglia nei pub e a volte nelle feste di piazza.

Il culmine di questa prima fase la raggiungemmo nel 1987 con la partecipazione a Nave Blues che allora era uno dei Festival blues italiani  principali.

Dopo vari avvicendamenti ci sciogliemmo nel 1989, qualche mese dopo il mio trasferimento  a Roma per motivi di lavoro.

In realtà  cercavo di tornare da Roma tutte le volte che c’era da  provare o per fare delle serate, ma  lo scioglimento fu il risultato indiretto di un  furto subito da Bob Rock .

In pratica gli fregarono la macchina e quello che  conteneva,  tra le altre cose chitarra e amplificatore (l’aveva messa nel box piena dopo una serata fatta a Molfetta) e lui decise di non ricomprarli.

Alla fine dell’anno cambiai lavoro e andai a vivere  a Milano, dove abitava la mia ragazza di allora che successivamente, dopo varie peripezie, sarebbe diventata  mia moglie.

Il primo periodo milanese fu davvero brutto e non soltanto  dal punto di vista musicale.

Comunque per  i primi 2 anni dopo il mio trasferimento in Lombardia ero sempre a caccia di jam  session in giro. Di quel periodo ricordo con piacere l’incontro con Cooper Terry con cui suonai una sera al Samoa Blues Club, poi anche una serata fatta in memoria di uno di primi collaboratori del IL Blues in cui ebbi modo di suonare un paio di pezzi con Tom Pomposello .

Poi cominciai a suonare con il mio amico di Trani Roberto Esposito (che suonava sopratutto rock&roll), l’ultimo bassista dei Black Cat Bones (ovvero Paolo Montaruli)  e un batterista suo amico. A volte le serate erano in Puglia, altre, oppure a Milano (in tal caso mi raggiungevano apposta gli altri tre), il gruppo si chiamava Deep South Train.

A questo punto un altro mio amico (l’unico che avevo a Milano allora) ovvero Nunzio Dragonetti mi propose di suonare col gruppo che aveva in quel momento (in cui suonava il basso).

Per un anno e mezzo quindi suonai nei Double Talking,  eseguendo un repertorio blues ma con musicisti di formazione prettamente rock.

Nel  frattempo avevo rincontrato Gianni Di Ruvo che  aveva suonato nei Black Cat Bones tra l’85 e l’87 e che si era trasferito anche lui in Lombardia .

Gianni mi convinse a rimettere su la band con il nome attuale e cosi’ inizio’ la seconda fase del progetto , quella lombarda.

Concludo dicendo che lasciai quasi subito i Double Talking ma poco dopo (nel 1994) riuscii a convincere Nunzio Dragonetti a entrare nel gruppo in qualita’ di pianista e da allora i 3/5 del gruppo sono rimasti inalterati .

Per questo motivo si puo dire che siamo un gruppo tra i piu’ longevi (con la Rico Combo e i Chicken Mambo) nella scena italiana del blues.

2)    Perché secondo te il blues è riuscito a diventare un vero linguaggio internazionale tanto che oggi ci sono eccellenti bluesmen in ogni parte del mondo?

Il blues viene spesso percepita come una musica “semplice” .

Infatti e’ semplice la forma musicale “blues” dal punto di vista formale, ovvero si parla di blocchi di 12 misure all’interno dei quali abbiamo successione di tre accordi (a volte ancora piu’ semplice, vedi ad esempio i tantissimi blues basati su un unico accordo).

Se fosse tutto qui allora la diffusione sarebbe spiegata solo in parte perche’ in questa semplicita’ e nella sua immediatezza, ci sarebbe  il segreto della sua diffusione ma nello stesso tempo anche  il suo  limite.

Invece, sappiamo bene che  il blues non e’ solo  12 battute e tre accordi  , anzi paradossalmente si potrebbe dire che il blues non e’ affatto quello.

Credo invece che due tra le caratteristiche fondamentali del blues siano  l’uso delle dinamiche e delle pause.

Per questo molta gente che crede di suonare blues e non ha colto questi aspetti, in realta’ tende a suonare troppe note, troppo velocememente  e in modo troppo piatto dal punto di vista delle dinamiche (in genere troppo forte) secondo me non suona blues anche se fa i pezzi classici con le 12 battute ecc.ecc.

Paradossalmente invece penso che si possa suonare blues anche suonando un pezzo che non e’ blues , se lo sui esegue nella maniera giusta.

Il blues poi non e’ solo musica , ma anche vita (le due cose erano inscindibili per le popolazioni dalle quali questa cultura e’ scaturita).
Quando si canta la propria vita , cioe’ quello che ti e’ capitato o ti capita tutti i santi giorni ,  e’ molto naturale esprimersi in una certa maniera.

Questo ovviamente si riflette pesantemente nelle esperessioni vocali(il blues e’ principalmente una musica cantata) e strumentali del blues.

Se un musicista ha  determinate esigenze espressive e incontra per la sua strada il  blues, scopre in esso tutte queste cose. A tutto questo   occorre aggiungere che gli USA hanno avuto e hanno tutt’ora una egemonia culturale innegabile, per cui oggi possiamo dire  che per fortuna ci hanno dato, oltre alla Coca-Cola e ammennicoli vari anche qualcosa di veramente positivo.

Anche per questi motivi il blues e’ diventato un linguaggio universale ed ha “figliato” dando origine a tante altre forme musicali oggi piu’ o meno in voga.

 

3)    Sei stato tu a scegliere l’armonica o è stata l’armonica a scegliere te?

Ne’ l’uno  ne’ l’altro, direi.

Credo che sia stato piuttosto un fatto casuale perche’ tutto comincio’ quando avevo circa diciotto anni e iniziai a  suonare con  Cristoforo, un ragazzo un po’ più giovane di me che faceva perfettamente i pezzi di Edoardo Bennato (come il primo Bennato come one-man –band usava la chitarra 12 corde, tamburello, kazoo e armonica) ma che proprio non riusciva a suonare l’armonica a bocca che aveva comprato.

Io invece riuscivo senza sforzo  a suonare le note singole e a piegarle per cui per questo posso dire di avere avuto la fortuna di incontrare il mio strumento per caso  .

Poi ho conosciuto Andrea (Matto di nome e di fatto), un ragazzo che veniva l’estate a Trani da Milano e che aveva imparato l’armonica blues da Cooper Terry .

Subito dopo il Natale del 1980 mio fratello mi regalo’  la mia prima armonica a bocca e cosi’ ho iniziato (era una Orchester Honher in MI) a portarmela sempre dietro e in parallelo a comprare dischi di blues.

Penso che ognuno di noi ha un suo strumento musicale ideale  (magari per caratteristiche fisiche ) ma spesso lo si  scopre solo per caso.

Certo di contro ci sono anche persone che hanno un talento naturale  per la musica e che riescono a suonare qualsiasi strumento si trovino tra le mani.

 

 

4)    Quali sono gli armonicisti che più ti hanno influenzato e quali sono i cinque dischi di blues da portare su un’isola deserta ovvero cinque cd fondamentali che consiglieresti a qualcuno che volesse avvicinarsi al blues?

Direi Sonny Terry, Sonny Boy Williamson II, James Cotton, Carey Bell e Junior Wells, ma credo di essere stato inflenzato da molti altri musicicsti e non solo armonicisti (una volta ascoltavo tantissima musica e non solo blues).

 

Come dischi  di blues consiglierei :

-“Live at Newportdi Muddy Waters;

-“Live at Montreauxdi Junior Wells e Buddy Guy;

-Il doppio con tutte le tracce  di Robert Johnson (anche le alternate takes);

-“Beware of the dog” di Hound Dog Taylor e

-Sonny Boy Williamson Blues Roots Vol.10 (con Memphis Slim).

 

5)    Di questa vostra lunga carriera cosa vi è rimasto fino ad oggi sia come uomini che come musicisti?

La cosa piu’ importante per tutti noi (so di parlare a nome di tutta la band perche’ ne abbiamo parlato ultimamente e ho appena scritto un pezzo proprio su questo argomento) e’ che andando in giro a suonare abbiamo conosciuto un sacco di persone e con alcune di queste sono nati dei veri  rapporti di amicizia.

Non importa se si tratta di musicisti piu’ o meno famosi, di organizzatori , gestori di locali o semplici appassionati, per noi il blues e’ stato il catalizzatore di tante belle serate passate a parlare fino alle prime luci dell’alba sorseggiando  magari un po’ di vino.

 

6)    So che sarà difficile scegliere ma quali sono stati fino ad ora gli episodi della vostra carriera che considerate indimenticabili?

Per quanto mi riguarda sicuramente un momento molto emozionante e’ stato il primo Festival importante a cui ho partecipato con la band nel 1987 a Nave (BS).

Eravamo la band di apertura del festival e l’atmosfera era perfetta, visto che il piccolo anfiteatro di Nave alle 9 di sera era  pienissimo e  l’aria  era quella fresca di una  bella serata di inizio settembre.

Nello stesso momento stava iniziando anche il concerto di Madonna nella sua prima sua esibizione in Italia a Torino  (l’accostamento fu fatto da Marino Grandi, direttore del IL BLUES, nel presentare la serata).

Peccato che poi la nostra esibizione fu interrotta 2 volte, prima da un black out elettrico e poi da un acquazzone.

Altre emozioni da ricordare sono legate all’incontro di alcuni dei miei miti dei backstage dei vari Festival ovvero principalmente Junior Wells, Billy Branch e  Charlie Musselwhite , ma anche Koko Taylor, Jimmy Rogers ed Eddie “Guitar” Burns.

Ricordo altre emozioni arrivate,  magari in modo inaspettato, in tanti altri casi. Ad esempio durante una  nostra esibizione estiva, ormai 20 anni fa in una piazza lucana piena di gente , ad un certo punto ho notato nella  prima fila un vecchio che, seduto su una sediolina presa da una classe della scuola elementare del paese, comincio’ a tenere il tempo col piede e con il bastone: sentii un brivido strano lungo la spina dorsale. Quel vecchio contadino probabilmente non aveva mai ascoltato la musica che proponevamo , ma era li’ per curiosita’ e con mente semplice e aperta.

Se fosse sempre cosi’ , non dico la Black Cat Bone BB , ma il blues in generale

avrebbe un riscontro molto superiore a quello che, purtroppo,  ha ultimamente soprattutto in Italia.

 

 

7)    Raccontaci qualcosa dei tuoi compagni d’avventura che con te costituiscono l’ossatura dei Black Cat Bone.

Gianni Di Ruvo e Nunzio Dragonetti fano parte della band ininterrottamente da ormai 12 anni

Gianni Di Ruvo : chitarra elettrica , acustica e dobro,

Nella band dal 1985 all’1987, poi dal 1992 ad oggi.

Come ho gia’ detto ha partecipato per un periodo di circa 2 anni al periodo pugliese del gruppo.

Tempo fa’ mi ha confessato che quando inizio’ a suonare veniva a spiare le nostre prove passando il tempo davanti alla porta per la sua eccessiva timidezza,  pur conoscendo il proprietario del posto in cui le tenevamo (era un piccolo laboratorio calzaturiero di propieta’ del secondo  chitarrista che avevamo allora).

Il suo sogno si realizzo’ quando il  chitarrista suo amico, il bassista e il chitarrista  lasciarono la band e noi la ricomponemmo, inizialmente in versione acustica, con lui come seconda chitarra.

E’ stato strano rileggere gli avvenimenti di quegli anni dal suo punto di vista, mi e’ sembrato assurdo l’aver ricoperto il ruolo di “mito” di un ragazzo poco piu’ giovane di me, solo perche’ suonavo in un gruppo di blues da un paio di anni.

Poi , per verie vicissitudini, lascio’ la band, ma quando ci siamo ribeccati piu’ tardi  su un treno che ci riportava a Milano (in realta’ mi ha confessato

di avermi cercato piu’ volte su quei treni che prendevamo per tornare a Milano a lavorare) mi convinse a rifare la band e da allora non abbiamo piu’ smesso di suonare insieme.

 

Nunzio Dragonetti : piano

Dal 1994 ad oggi.

E’il componente piu’ eclettico del gruppo .

Quando e’ entrato nel gruppo era un bassista rock che ascoltava musica molto diversa, ma io conoscevo le sue capacita’ musicali e la sua versatilita’.

Ci frequentavamo da tanti anni visto che ogni estate e a Natale veniva a Trani  e quando mi sono trasferito a Milano era l’unico vero amico che avevo .

A Milano avevo iniziato a suonare nel suo gruppo, ma poco dopo averlo  abbandonato e aver riformato la band con Gianni con un nome leggermente diverso, ovvero quello attuale di Black Cat Bone Blues Band,  gli proposi invece di entrarvi come pianista.

Avevo ascoltato Nunzio al piano solo qualche volta a casa sua e  qualcuno mi diede del pazzo.

Sta di fatto che in breve tempo si inseri’ e solo 2 anni dopo partecipo’ alla registrazione del nostro primo disco, nel quale diede un  contributo fondamentale.

Da dodici anni fa parte della spina dorsale del gruppo e sicuramente se abbiamo il “nostro” suono lo dobbiamo anche a lui che non e’ il classico pianista di blues.

 

Claudio De Palo e Mirco Dal Barco sono il cuore pulsante della band .

Claudio e’ bassista essenziale e molto preciso, Mirco e’  tra tutti noi forse l’elemento tecnicamente piu’ dotato, ma anche lui  ricopre il suo ruolo in maniera piu’ che diligente .

 

Hanno in comune alcune delle loro precedenti esperienze musicali anche non soltanto in ambito blues ed hanno maturato negli anni un forte rapporto di amicizia, cementato da diversi interessi comuni anche extra musicali.

Una volta che si tiene in considerazione questi fattori non ci si puo’ stupire di quanto compatta sia la sezione ritmica della Black Cat Bone BB e anche di quanto prezioso sia il loro apporto al suono della stessa.

 

 

Claudio De Palo: basso elettrico

Nella band dal 2004

Precedentemente ha fatto parte dei Tejas , gruppo di rock blues , suonandovi ha conosciuto Mirco .

Dopo, sempre mantenedo il sodalizio ritmico con Mirco ha suonato anche nei Crossroads , gruppo di soul/blues cui per un periodo breve ha collaborato anche Gianni Di Ruvo.

 

Mirco Dal Barco : batteria

Nella band dal 2003

In precedenza ha suonato nei seguenti gruppi:

Black Jacks (Texas Blues), Funky Stunky (soul, R&B e funky) , Tejas Band

(rock blues) e Crossroad , oltre a 2 ensamble di  ispirazione gospel.

 

Nei  Funky Stunky e nei Crossroad vi era anche Paola Imposimato,  attuale moglie di Mirco e cantante che ha partecipato alla registrazione del terzo CD della band.

 

 

 

 

8)    Nel vostro disco più recente vi cimentate anche con testi in italiano. Perché questa esigenza?

Nel CD precedente in verita’  di pezzi in Italiano ce ne erano ancora di piu’ (addirittura 5 ).

Questo  perche’ ci tengo a dire che su questo aspetto non c’e’ da registrare un ripensamento da parte nostra.

Arrivando alla rispota alla tua domanda devo dire che mi sembra normale e naturale esprimerci nella nostra lingua madre .

Certo non ci nascondiamo la difficolta’ di rendere efficace l’Italiano su una base musicale blues , ma per noi  sarebbe sbagliato non provarci.

Ovviamente occorre mettere una cura particolare nello studiare la metrica e le parole giuste (come significato  e come suono) pero’ alla fine e’ un problema anche di abitudine da parte degli ascoltatori.

In particolare per me che canto i testi che scrivo io e’  molto importante essere compreso e ne ho se non la sicurezza  almeno una maggiore confidenza se lo faccio nella lingua che padroneggio meglio e che e’ in genere anche la lingua anche delle persone che stanno ad ascoltarmi.

 

Anche io a volte stigmatizzerei alcuni esperimenti un po’ grezzi di blues in italiano, ma allo stesso modo i miei bassi istinti di critico mi spingerebbero a demolire  testi in inglese buttali li’ cosi’ solo perche’ “suonano bene”.

Occorre credo valutare di caso in caso a prescindere dalla lingua usata.

Secondo me ci sono bei pezzi di blues scritti in italiano e bei pezzi in inglese

(ovviamente mi riferisco ai musicisti e alle band italiane).

Devo confessare che , anzi,  in genere sono piu’ indulgente con quelli che sono piu’ diretti e sinceri , cercando di esprimersi nella lingua che conoscono meglio.

Ad esempio anche in dialetto (che spesso si adatta meglio alla forma musicale blues) ci sono pezzi davvero notevoli (sicuramente il vertice in questo caso e’ costituito dai Blue Stuff di mario Insenga).

Per concludere con la risposta aggiungo anche che stiamo lavorando ad un pezzo che parla proprio su questo argomento ed e’ ovviamente in italiano.

 

 

9)    C’è un episodio della vostra carriera che è stato davvero importante per la vostra vita di musicisti?

Sicuramente e’ stata la telefonata che mi arrivò  all’inizio del 1987 e che mi comunico’ che avremmo suonato a Nave .

Avevo mandato a Marino Grandi, che si occupava della selezioni dei gruppi italiani,  una cassetta registrata dal vivo in un pub con un radioregistratore portatile (c’erano anche i colpi dati con i pugni chiusi da un paio di spettatori ubriachi sul tavolo dove il registratore era appoggiato) ed evidentemente ,nonostante la discutibile qualità sonora, eravamo piaciuti.

Questo fatto ci fece guardare al di là dell’orizzonte locale in cui ci muovevamo .

Contesti diversi da quelli in cui eravamo abituati a suonare non li consideravamo neanche, anche perche’ pensavamo di non essere all’altezza di altre platee .

 

10) Voi avete iniziato la carriera parecchi anni fa, come è cambiato il modo

       di fare blues dalle vostre prime esperienze musicali ad oggi?

Certo c’e’ stato durante gli anni un avvicendarsi di stili e approcci che sono andati via via per la maggiore a livello di blues in generale e di conseguenza anche nel panorama italiano , ma penso che la sostanza non cambi.

A volte ho la sensazione che anche il mio approccio al blues sia cambiato, ma alla fine arrivo sempre alla conclusione che tutto e’ dovuto a quanto sono cambiato io.

Infatti allora ero un giovane studente pugliese che suonava nei pub del nord barese con entusiasmo; ora sono un non piu’ giovane lavoratore con una moglie e una figlia che dopo aver suonato questa musica per un quarto di secolo e’ molto piu’  consapevole di quello che fa, ma è anche  (ahime’) meno entusiasta di una volta.

 

    

 

11)Come vedete il futuro del blues in Italia e quali sono i giovani musicisti che ritenete più interessanti?

    Per quanto riguarda il futuro del Blues in Italia non riesco a  essere molto ottimista . Il problema e’ che gia’ la situazione culturale in senso lato è pessima.

Se a questo aggiungiamo che  per chi fa musica dal vivo diventa sempre piu’ difficile discostarsi dai modelli imposti (e’ il caso ad esempio delle tante  Tribute band che impazzano in giro per i locali), per il blues che e’ spesso ghettizzato (quando poi non  si autoghettizza , ma questo e’ un altro problema ancora che si somma agli altri) non si puo’ certo essere ottimisti.

In questo scenario e’ difficile che i giovani telenti che si accostano al blues lo facciano nella maniera giusta, cioè con rispetto e impegno senza tralasciare pero’ la possibilita’ di esprimere qualcosa di personale .

Se si decide di fare i musicisti di professione facilmente si scende a compromessi e si cambia rotta , altri si perdono comunque per strada.

Quindi per quanto riguarda i giovani musicisti che si stanno affacciando alla ribalta blues negli ultimi tempi non ne conosco molti .

L’unico nome che mi sento di fare e’ quello di Davide Speranza armonicista /polistrumentista, che ha suonato la tromba nella sezione fiati che ha collaborato con noi nella registrazione del nostro disco appena uscito.

Ha 23 anni e ha fatto da poco un CD a suo nome.

Ad ogni modo, tornando al discorso generale del blues, abbiamo notato negli ultimi anni un aumento costante dell’età media dell’uditorio dei concerti blues.

Ormai si avvicina ai 35/40 anni, spero di sbagliarmi, ma temo che se questo processo dovesse essere continuare, tra qualche anno  potremo ascoltare del blues solo nelle case di riposo, anche perche’ a pensarci bene i musicisti di blues

hanno un’eta’ media che aumenta costantemente.

 

12)Agli amici musicisti farebbe senz’altro piacere sapere quali tipi di strumenti suonate e il tipo di amplificazione che usate.

Armoniche diatoniche:

Uso principalmente armoniche Honher soprattutto Marine Band (non le MS) Ultimamente ho comprato un po di Hering che hanno una buon rapporto qualita’/prezzo.

 

Armoniche cromatiche:

Honher a 12 e 16 fori (ne ho un tipo che ora quasi  introvabile :   e’ un modello a 16 fori marchiata Larry Adler).

 

Amplificatori:

Quando suono l’armonica elettrificata o un Fender the twin amp (che ho scelto per la sua versatilita’ ma che ha come grosso difetto il peso)  oppure un piccolo Fender da 10 W a transistor che uso nei locali piu’ piccoli .

 

Microfoni per armonica:

Bluesbaster Honher  e un vecchio Jt30 Astatic (con 2 capsule diverse), ma a volte uso un vecchio Shure Unydine 545 o il classico Green Bullet.

 

Microfoni per la voce:

Shure SM58.

 

Ecco la strumentazione usata dagli altri componenti della band:

 

Gianni Di Ruvo:

     Chitarra Fender Stratocaster riedizione 62 

     Semiacustica Ibanez Artcore Custom

Chitarra acustica Martin

Amplificatore deluxe reverb '65

 

     Mirco Dal Barco:
     Pearl Master Custom in set american standard, piatti Zildjian e Paiste.
 
      Claudio De Palo:
Fender Jazz fretless ed un Stingray5 della Musicman,come amplificazione  una una testata Hartke System completato da  una cassa 200W della SRW oppure   una cassa 2x10 della Mesa boogie.

 

 

Nunzio

 

Piano elettrico Roland EP7 con effetto Roland VK7

 

13)Siete soddisfatti della vostra carriera o c’è ancora qualcosa che vi manca?

 

Tutto sommato siamo abbastanza soddisfatti e lo saremo fino a quando quando ci sara’ qualcuno che ci chiamerà a suonare in giro e fino a quando ce la sentiremo di farlo.

Onestamente pero’ ognuno di noi ha ,non dico degli obbiettivi , ma qualcosa di molto simile ad un sogno.

Per me il massimo sarebbe suonare al festival blues di Chicago, a quel punto  potrei anche appendere l’armonica al chiodo.

Il rischio che cio’ accada pero’ direi e’ abbastanza remoto e a questo punto non so se dire purtroppo o per fortuna.

 

14)Qual’è la domanda che nessuno vi ha mai fatto ma che avreste voluto ricevere?

     Effettivamente queste 15 domande mi sono sembrate abbastanza complete.

     Spero di non avere esagerato nella lunghezza delle risposte e di essere stato abbastanza chiaro nelle stesse.

 

15)Progetti per il futuro?

Stiamo preparando un po’ di pezzi nuovi e abbiamo in cantiere un rinnovamento e allargamento del repertorio anche per quanto riguarda i classici.

Nello stesso tempo forse si sta aprendo la possibilità di collaborare con una cantante afro-americana molto brava che risiede in Italia da poco.

E’ questa una cosa che volevamo fare da un po’ di tempo e speriamo che si concretizzi.